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Esternalizzazione nei Musei e la perdita di dignità del lavoro: i pareri di Alleva e Riccomini

Musei
Articolo di: 
   del: 7 luglio 2014

Intervento di inizio seduta di Marco Piazza nel Consiglio Comunale del 7 luglio 2014

Uno dei temi sui cui tanto siamo intervenuti e che tanto ci sta a cuore come Movimento 5 Stelle è quello della dignità del lavoro.

La tanto decantata “globalizzazione” (che ritengo una delle peggiori piaghe dei giorni nostri) ci ha messo in contatto (o meglio, in “corto circuito”), con altre realtà, altri paesi, altri mercati, molto diversi. Senza nessun filtro come qualche dazio che compensasse le differenze dei paesi.

La drammatica conseguenza in Italia è stata la progressiva perdita o compressione dei diritti dei lavoratori.

Ma invece di esportare diritti e tutele nei paesi più indietro di noi da questo punto di vista, stiamo facendo l’inverso. Cioè stiamo adeguando noi il nostro mercato del lavoro al ribasso. Regredendo ad un epoca presindacale.

Questo il quadro generale.

Andando nello specifico io ritengo che gli enti pubblici e quindi anche il Comune di Bologna, dovrebbero fare da argine a questa terribile deriva. O quantomeno dovrebbe porsi come esempio e punto di riferimento.

Il Comune ha oltre 4000 dipendenti e se consideriamo anche i lavoratori delle aziende controllate e partecipate sulle cui decisioni può influire, diventa la prima azienda bolognese, superando persino HERA.

Il Comune di Bologna dovrebbe rifiutare modelli che anche solo lontanamente possano comportare una perdita di tutele per i lavoratori. E’ proprio in questo momento di grave difficoltà per il lavoro che un ente pubblico dovrebbe proteggerlo con maggior forza e rilanciarne l’importanza.

E invece troppe volte (anche quando non “opportuno”) vediamo che il Comune di Bologna o sue partecipate, ricorre a lavoratori interinali o a modelli cooperativi.

Troppe volte abbiamo ascoltato lavoratori di servizi pubblici, lamentarsi a causa di stipendi decurtati da piani anticrisi e da rilevanti quote sociali, o per il mancato riconoscimento dei giorni di malattia, oppure lavoratori interinali a cui non vengono pagati i contributi.

Poi vediamo fallire cooperative, perché si è tirata troppo la corda e quegli effimeri risparmi diventano perdite e buchi di bilancio (mi viene in mente l’ultimo caso da 1,3 milioni di euro nel bilancio di ATC). Addirittura ci sono cause per interposizione di mano d’opera fatte da dipendenti di aziende pubbliche. E alcune sono state persino vinte!

Se nel pubblico succede questo e questo è l’esempio, nel privato la situazione degenera 10 volte di più.

Con queste premesse, chiesi chiarimenti sul nuovo bando che riguarda i musei. Oltre al rinnovo della guardiania e dell’accoglienza, viene spinta ulteriormente l’esternalizzazione del servizio didattica e si affidano all’esterno anche attività fondamentali come l’allestimento di mostre, la comunicazione e l’inventario del patrimonio.

Su questo bando si è espresso in modo netto ed ecclatante mercoledì 2 luglio all’assemblea dei lavoratori il famoso giuslavorista Piergiovanni Alleva durante la serata organizzata dei dipendenti dei musei civici bolognesi (che da un paio di mesi sono mobilitati per difendere il futuro pubblico dei musei comunali): “Il bando comunale per l’assegnazione in blocco a privati dei servizi di didattica e gestione del patrimonio museale di Bologna, è anticostituzionale.

Non usa condizionali e non ha dubbi. Poi prosegue:

Il tema del bando che riguarda i dipendenti dei musei di Bologna è quello dell’appalto di mano d’opera: Qui siamo di fronte al decadimento progressivo della disciplina dell’appalto, stella polare del diritto del lavoro italiano, costituitasi attraverso la legge 1369 del 1960. 
Una posizione precisa che nasce su impulso dei padri costituenti dopo un’inchiesta parlamentare sul dilagare del caporalato e per impedire lo sfruttamento. Legge che è stata smantellata nel tempo prima dalle agenzie interinali, poi con il pacchetto Treu e infine con la legge Biagi

Qui c’è il punto fondamentale che riassume in poche parole la storia dello smantellamento delle tutele ai lavoratori.  

Ha continuato ancora il giuslavorista:

La distinzione tra appalto vero e appalto come mera somministrazione mano d’opera si è fatta sempre più tenue nella pratica per favorire le esternalizzazioni.  Ricordo  che per la Cassazione affidare un appalto che ha come contenuto solo la mano d’opera è vietato, a meno che l’insieme dei lavoratori non riesca ad esprimere un valore aggiunto di know how tale che questo faccia sicura differenza per il committente rispetto allo stesso scopo. E in questo bando dei musei la differenza non si rileva

Anche Riccomini (ex vicesindaco di Bologna) è intervenuto e concludo con le sue parole: “perché con un appalto si cercano nuove figure esterne che devono fare la didattica quando hai già personale qualificato interno che ci lavora? Spero che dopo la cultura non venga privatizzata anche la scuola.

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